Helen Britton – The Dark Garden

Il 31 Ottobre prossimo avremmo dovuto inaugurare la personale di Helen Britton dal titolo “The Field of Knives and Flowers”.

Abbiamo deciso di posticipare l’opening della mostra alla Primavera del 2021.

Il progetto a cui, con Helen, lavoravamo da tempo non si era esaurito, anzi in questo momento storico così difficile e che sicuramente ha portato e porterà nelle nostre vite cambiamenti importanti, ci spingeva ad arricchirlo di mese in mese.

Così il Dark garden, che è un’istallazione parte della mostra, una sorta di bassorilievo composto da 30 piccoli gioielli, diverrà una piattaforma che si arricchirà a seconda delle stagioni, dei cambiamenti sociali che intanto interverranno nei mesi a venire. Muterà il suo colore fino ad avere i colori tipici dell’estate. Il dark garden sarà un diario su cui annotare le emozioni, i pensieri .

Un giardino che si augura e ci augura di essere condiviso a viso scoperto.

Abbiamo chiesto ad Helen Britton di scrivere un testo che spieghi l’evoluzione di questo lavoro che sarà puntualmente condiviso attraverso i social media e nostre comunicazioni.

 

“Sono un giardiniere per vocazione; il lavoro necessario a mantenere e incoraggiare i cicli naturali di crescita sono per me fonte di profonda tranquillità. E quando il lavoro è finito, il giardino è il mio posto dove riposare.

Il mio paese una volta era un enorme giardino, perfettamente mantenuto dai suoi legittimi proprietari che lo avevano curato per oltre 60.000 anni. Senza la cura e la comprensione del Popolo delle Prime Nazioni, il paese che anch’io chiamo casa non conoscerà l’equanimità.

La scorsa estate colossali incendi hanno distrutto 18,6 milioni di ettari di continente australiano.

3 miliardi di animali sono morti o sono stati sfollati. Vite perse, spesso da chi cercava di combattere le fiamme, case, proprietà, storie interamente consumate dalla preannunciata conseguenza di una dannosa gestione eurocentrica della terra. L’impotenza e il dolore che ho provato guardando questo accadere hanno cambiato me e il modo in cui lavoro. Le certezze vacillano, si sa perché ma non si sa che cosa fare. Le strutture imposte dai regimi coloniali e imperiali secoli fa hanno costruito la specificità di questo momento, attraverso un sistema di principi che dà solo potere, autonomia, azione, diritti a membri specifici dell’umanità. Tutte le battaglie che stiamo combattendo nel 2020, compresi gli incendi, ne sono una conseguenza.

Quindi qual è il lavoro che devo fare? Per me, per il pianeta, per la storia? Come traccio questo momento di crisi assoluta per le generazioni a venire? Cosa rimarrà? Quale sarà la mia eredità? Nei miti della civiltà un simbolo costante è il giardino, dall’Eden in poi fino al Paradiso, mercificato nella pubblicità turistica; palme, limoni, eucalipti con koala appollaiati tra i rami: uno splendido animale che entro il 2050 sopravviverà solo in cattività. Cosa ci spinge a desiderare un giardino puro e fare tutto il possibile perché un posto del genere possa esistere solo come lusso esclusivo per chi se lo può permettere? L’ironia di questo periodo per molti di noi è che desideriamo uno spazio di armonia umana e naturale e siamo complici di un sistema che è altamente dannoso per la realizzazione di questo stesso progetto.

Come le immagini del periodo dei viaggi che rapidamente sfumano, un periodo che adesso è sospeso indefinitamente, svanisce in un crepuscolo fumoso anche la possibilità di creare un giardino sostenibile sulla terra

In alcuni luoghi i gioielli sono ancora indossati per segnalare la perdita, un modo per comunicare che la sensibilità dovrebbe essere mostrata, che chi lo indossa sta attraversando un momento difficile. In questo momento mi ritrovo profondamente in questa idea, e per questo ho creato The Dark Garden, un disegno in metallo, pietra e vernice, del delicato residuo di un paradiso personale ridotto in cenere. Un disegno e contemporaneamente un gioiello; spille e pendenti; fiori emaciati, chiavi di case perdute e coltelli di rabbia. Frammenti di onice, occhio di tigre e agata, accuratamente formati da mani che ora non possono essere pagate per svolgere tale lavoro e scartate in un paese che fatica a valorizzare il proprio patrimonio a causa del suo passato.

Un lavoro malinconico che bilancia la perdita con il coraggio e la speranza, con un desiderio di vera bellezza, dedicato all’anno 2020.

Ma The Dark Garden non è finito. Fa parte di un nuovo corpus di opere, una mostra che dovrebbe aprire tra una settimana. Una mostra che è stata per me e per la Galleria Antonella Villanova un’ancora di speranza in un anno di fermento. La tempesta del 2020 è implacabile, ma noi restiamo attivi, anche se questa mostra dovrà avvenire in seguito, in un tempo in cui tutto potrà essere più protetto.

Come fosse un ponte fino ad allora, questo giardino si evolverà, seguendo le stagioni e offrendo una nuova visione con la primavera dell’emisfero settentrionale.

Unitevi a noi nei prossimi mesi mentre il progetto si sviluppa e coltiviamo un simbolo di speranza per il nostro futuro.”

– Helen Britton