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Antonella Villanova è lieta di presentare, in collaborazione con la Galleria O. di Roma: Primum Non Nocere, la nuova e preziosa collezione di arredi (mobili e lampade), in edizione limitata, disegnata dalla designer americana Johanna Grawunder, appositamente per la galleria.
La collezione utilizza materiali classici, quali il bronzo, l’acciaio, l’alluminio, che si contraddistinguono per resistenza e longevità e che, affidati alla tradizionale abilità e alla precisione tecnica di artigiani esperti, si vedono trasformati in elementi di arredo di altissimo livello qualitativo e in grado di incarnare egregiamente ogni piccolo dettaglio formale ed esigenza estetica dell’idea progettuale.
Il lusso, inteso come “good living”, è un vizio a cui Johanna Grawunder non sa e non intende rinunciare.
La sua ricerca, da sempre, individua come traguardo la creazione di oggetti che possano migliorare la qualità della vita di chi li possiede.
Progettati in modo che generino cambiamenti di prospettiva, lievi spostamenti visivi e inedite vibrazioni cromatiche e luministiche, i lavori della Grawunder nascono per inscrivere nuovi segni alle architetture dei luoghi del vivere quotidiano (la casa, l’ufficio) o a quelli eletti ad oasi temporanee (il bar, il ristorante, l’hotel, le aree verdi).
Un carattere che sigla ogni singolo pezzo di questa collezione e lo rende immediatamente riconducibile al metodo progettuale firmato Grawunder è, infatti, il netto distacco dall’idea obsoleta di autoreferenzialità dell’oggetto di design e, di contro, la propensione ad instaurare un dialogo con lo spazio destinato ad accoglierlo.
Le lampade cercando porzioni di parete su cui proiettare l’emanazione luminosa del proprio disegno, i tavoli componendosi di volumi diversamente orientati e rifiniti, a creare infinite possibilità di posizionamento nell’ambiente e visioni prospettiche sempre nuove.
Il modus operandi della Grawunder deriva da una presa di posizione etico-professionale precisa, che si esplica nell’osservare costantemente la realtà attraverso uno sguardo incrociato che le permette di tenere d’occhio simultaneamente l’evoluzione della propria ricerca e il termometro della società – a cui il suo lavoro necessariamente si rivolge e da cui trae ispirazione – in modo da studiarne le più attuali esigenze e ipotizzarne le future.
Una lettura del presente lucida ed operata attraverso una lente bifocale aperta su due versanti, quello individuale e quello della collettività, che vengono a confronto nel momento più delicato della creazione, quando cioè il progetto da disegno si tramuta in oggetto, e chiede di assumere precisa identità attraverso l’essenza del materiale di cui sarà costituito.
Passaggio determinante che, nel momento storico attuale, assume un’importanza ancora più cruciale.
Metabolizzata l’urgenza, non soltanto nell’ambito del design, di ricorrere a materiali ecologici, riciclabili, non inquinanti, e assodata la necessità di modificare, dal punto di vista “eticologico”, comportamenti e azioni legati al consumo, la riflessione del designer sul materiale da utilizzare nei propri progetti non è, ormai, più unicamente una questione di scelta estetica e/o funzionale, ma assume, nel presente, i termini di responsabilità culturale.
A far fronte alla cultura del consumismo bulimico, dell’usa e getta, in cui il post-moderno ha tradotto, fraintendendola, l’idea di progresso e su cui ha costruito una effimera visione ottimistica della vita, sopraggiunge oggi un nuovo atteggiamento che mira a riaffermare il valore di qualità delle cose e del vivere, ed aspira a scongiurare il virus dell’ossessione all’accumulo e le sue pericolose conseguenze, prima fra tutte la produzione di scarti.
La Grawunder appartiene a una generazione di designers che lavora a sostegno di questo tipo di atteggiamento “ecologico” e che ha fatto sua la cultura del (quantomeno) non nuocere, assumendo un approccio responsabile rispetto a come e a cosa oggi sia doveroso progettare e produrre che abbia realmente un senso e che realmente migliori la qualità dell’esistenza quotidiana.
Primo, quindi, non nuocere; secondo, arginare la sovrapproduzione di design strategico e transitorio; terzo, divenire consumatori coscienziosi e lungimiranti, privilegiando l’acquisto di oggetti molto speciali e, pertanto, waste-free.
I fattori di “nobiltà”, longevità, classicità, che contraddistinguono i materiali impiegati per questa sua ultima collezione, costituiscono una possibile e valida rosa di valori che, aggiunti al progetto, contribuiscono a determinare la produzione di un bene reale, da tramandare di padre in figlio, da “riciclare” di generazione in generazione. Un prodotto di lusso, pregno di storia, di tradizione, da conservare, collezionare, restaurare, e che, grazie alla qualità della sua forma e della sua essenza, si rivaluti con il passare del tempo, anzichè invecchiare e deprezzarsi.
La scelta della Grawunder di conferire a questi arredi forme essenziali, linee rigorose e tonalità cromatiche sobrie, abbandonando temporaneamente le tinte forti e fluorescenti cui solitamente si associa il suo lavoro, sembra voler sottolineare l’urgenza attuale di tornare a formulare progetti con l’intenzione di derivarne oggetti immortali, iconici. Nuovi segni in grado di parlare una lingua eterna e in grado di riassumere in se la genialità dell’innovazione contemporanea e le tracce del sapere, e del saper fare, tradizionale.
Questa collezione in molti sensi è preziosa, poiché si esprime a sostegno di un’economia della cultura, quella sana, solida, intramontabile, a favore dell’utilizzo – al meglio – di materie primarie presto non più estraibili, a salvaguardia dell’esperienza di eccellenze artigianali a rischio di sparizione, e a tutela del disegno d’autore.
Emanuela Nobile Mino
“Ho sempre disegnato con l’idea che l’oggetto che si disegna è un po’ uno strumento per la vita. Uno strumento che fa capire a chi lo usa o a chi lo guarda che sta vivendo. È il contrario del concetto di consumismo, che vuole che ci si dimentichi che si sta vivendo e morendo perché l’importante è consumare, perché la vita è nell’atto del consumare, dell’usare, del guardare, del comperare ecc.. A me non interessa molto questo tipo di definizione della vita. Io penso che tutte le cose che disegniamo, le architetture, gli oggetti ecc., devono aiutare la gente a essere consapevole che sta vivendo. Quindi in tutte le cose che faccio, cerco di disegnare qualche cosa che diventi uno strumento per vivere. (…)”
(Intervista di Marie-Laure Jousset a Ettore Sottsass, estratto dal catalogo dell’esposizione “ll design Cartier visto da Ettore Sottsass”, Milano, Palazzo Reale - ottobre 2002/gennaio 2003)
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