Sabato 20 aprile 2024, presso la sede di Galleria Antonella Villanova e Galleria Alessandro Bagnai si inaugurano le mostre personali degli artisti Bernhard Schobinger (Zurigo, 1946), autore tra i più eminenti nell’ambito del gioiello contemporaneo, e Annelies Štrba (Zug, 1947) fotografa tra le più poetiche e visionarie nel panorama dell’arte figurativa.
La mostra dedicata a Bernhard Schobinger da Galleria Antonella Villanova ripercorre la carriera dell’artista presentando una selezione di lavori storici, datati a partire dalla metà degli anni ‘70, e di lavori di più recente produzione.
La mostra dedicata ad Annelies Štrba da Galleria Alessandro Bagnai si concentra su un nucleo di lavori realizzati tra il 2012 e il 2024 costituito da fotografie di medie e grandi dimensioni stampate a pigmenti su tela e una serie di piccole stampe fotografiche, sempre realizzate su tela, con interventi pittorici.
Tra i due artisti intercorre un legame storico di esperienze condivise ed interconnesse, sia sul piano sentimentale che sul piano intellettuale. Si incontrano nel 1968 e l’anno successivo si sposano, da quel momento percorrono una strada comune e, allo stesso tempo, artisticamente individuale che li vede mettere in atto, nei rispettivi campi di ricerca, un personale processo creativo basato sull’ibridazione di forme, immagini, materiali e tecniche.
Un rapporto fondato su un’osmosi culturale che produce due tipi di narrazioni differenti che, in alcuni casi, trovano conciliazione, come nella serie dei celebri scatti fotografici della Štrba ritraenti le figlie Sonja e Linda con indosso i gioielli del padre, Schobinger.
Progetto che, con estrema libertà e poeticità, sfoca i confini tra la sfera privata e professionale dei due autori, mettendo magistralmente in gioco le peculiarità espressive di ognuno.
Entrambi, tra gli anni ’70 e gli anni ’80, si orientano verso la sub-cultura Punk di cui condividono la critica al conservatorismo dei valori borghesi, l’aspirazione allo sconfinamento dell’indagine e la libertà di espressione e sperimentazione, atteggiamenti che porta i due artisti ad operare in controtendenza, a varcare orizzonti inesplorati e a dar vita a visioni (bi e tri dimensionali) inattese.
L’inatteso nel lavoro di Bernhard Schobinger coincide con il carattere non convenzionale del suo approccio all’arte orafa mirato ad infrangere le regole precostituite del gioiello – inteso in senso stretto come ornamento -, e a sovvertire i canoni prestabiliti dei concetti di bello, armonioso, prezioso. L’attitudine neo-dadaista, con cui forse più semplicisticamente si porterebbe etichettare la sua prassi artistica, sembra in realtà sospinta da una forma di fascinazione innata per l’accidentalità di certi ritrovamenti che per l’artista assumono la sacralità di un incontro fortuito ma forse in qualche modo predestinato (con un oggetto, uno scarto, un materiale, un indizio).
Come un archeologo alla ricerca di reperti del quotidiano, Schobinger scava nell’universo di oggetti più o meno anonimi o a prima vista indecifrabili: parti di utensili, frammenti di statuine, ferraglie, che l’era moderna massivamente ha prodotto e che con la stessa meccanicità disperde. Da art manufacturer, con un gesto quasi redenzionale, Schobinger interviene a riscattare l’entità di questi oggetti / relitti e li rianima di una nuova funzione: li rende ergonomici e li dota di un valore (intrinseco, estetico ed emozionale) del tutto nuovo. Ne fa “gioie” – nel senso più atavico del termine (dal latino volgare, iŏcus, relativo al gioco) – o meglio, reliquie “gioiose”. L’aspetto ludico / ironico dei lavori di Schobinger non è rintracciabile soltanto in alcune delle soluzioni iconograficheo compositive che studia per i suoi gioielli, ma anche nell’ingannevole utilizzo che fa dei materiali: pietre e metalli preziosi (tra cui oro, diamanti, perle, quarzi), abbinati talvolta a materie umili o industriali come la plastica o l’alluminio, sono spesso intenzionalmente dissimulati o nascosti, oppure impiegati in modo che non risultino immediatamente riconoscibili. Se il concetto di “antigrazioso” concorre a scardinare la gerarchia tra pregevole e modesto, attraente e respingente, quello della “gute form” interviene a riscattare la transitorietà di un oggetto rimettendolo in circolo con nuova dignità formale, funzionale e concettuale. La combinazione di questi due aspetti antitetici guida Schobinger nella costruzione ingegnosa di gioielli-amuleto che sospingono chi li osserva o li indossa a decodificarne non soltanto il valore simbolico ma anche in qualche modo quello sociale, e a ripensare ex novo il rapporto tra forma e funzione, e tra produzione e consumo.
In un universo immaginifico diverso ci conduce il lavoro di Annelies Štrba. Partendo dalla realtà familiare e domestica – raccontata attraverso scatti che ritraggono la consuetudine di azioni quotidiane svolte dalle figlie Sonja, Linda e dalle nipoti – l’artista traghetta l’osservatore nella dimensione evanescente del sogno. Grazie ad espedienti tecnici di natura analogica, i suoi lavori fotografici restituiscono visioni “appannate”, fuori fuoco, sovra o sotto esposte e dai colori iper saturi, psichedelici, come frammenti di narrazioni di carattere onirico, sospese in un tempo e in uno spazio indefiniti e indefinibili. Giocate sull’interferenza tra verità e allucinazione, reminiscenza ed amnesia, soggettività e obiettività, le immagini della Štrba raccontano l’esistente in tutta la sua estensione, spingendosi cioè anche oltre la realtà fenomenica per infiltrarsi nelle trame della dimensione trascendentale e della spiritualità. I temi principali – quali ad esempio l’intimità familiare, l’infanzia, il corpo femminile, il paesaggio – si fondono a tematiche legate alla cultura visiva e letteraria sviluppatasi a cavallo tra il XIX e il XX secolo, da cui l’artista attinge soggetti iconografici, come la celebre Ofelia di John Everett Millais, o riferimenti linguistici, quale il decorativismo lirico della pittura preraffaellita o l’esoterismo della corrente simbolista. Difficilmente il termine “istantanea” risulta più appropriato nel definire un lavoro di matrice fotografica: le figure ritratte da Annelies Štrba sembrano infatti materializzarsi nell’istante esatto in cui lo scatto fotografico viene eseguito. Lo scatto le coglie nel momento in cui si manifestano emergendo dalla bruma di fondali naturalistici o dalla penombra degli ambienti domestici, come esseri fantomatici. Questa sorta di magica epifania è favorita anche dal metodo fotografico, di tipo empirico, adottato dall’artista: il blind spot. Non mirando al soggetto attraverso l’obiettivo della macchina, Štrba opera una volontaria scissione tra il proprio sguardo (soggettivo) e l’occhio del mezzo tecnico (oggettivo) affidando a quest’ultimo il libero arbitrio di sostanziare autonomamenteil destino dell’inquadratura, la bontà dell’impressione dell’immagine sulla pellicola, nonché la risoluzione della rappresentazione finale. Stampati su tela, talvolta resi ancor più saturi da interventi pittorici stratificati o montati in slow motion, i lavori fotografici di Annelies Štrba restituiscono un immaginario visivo che, negli anni, si fa sempre più astratto ed evocativo. Rifuggendo il realismo proprio della riproduzione video e fotografica, l’artista elabora un approccio all’immagine di tipo impressionista per cui l’atto di osservare (un paesaggio, un corpo, una forma) coincide con quello di fissare nell’opera fugaci frammenti di vita, reale o immaginata, attraverso l’impressione immediata e decisa di colore e di luce.
Emanuela Nobile Mino
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